Prigionero del rituale turco della riparazione

Istanbul
08/05/2000

La mattina era cominciata da favola. Colazione al nono piano dell’Hilton, vista sul Bosforo inondato di sole, secondo assoluto nel sedermi a tavola. E subito dopo è comparso Spadini. Lui è lo svizzero italiano che con una Jaguar MK II era svanito ad Aix le Bains. Tutti avevamo pensato che se ne fosse tornato a casa, a Ginevra, troppo vicina per perdere l’occasione. E così era stato. Ma non per nostalgia, bensì per un calo di potenza del motore. In un notte l’hanno rifatto. Ed è cominciata la rincorsa alla carovana. Un amico gli ha portato bibite e panini lungo l’autostrada; Spadini ha telefonato a quelli del traghetto dicendo se per piacere aspettavano qualche minuto che stava arrivando. Sono sbarcati a Patrasso, hanno guidato fino alle 8 di stamattina. Ultimi, ma felici e di nuovo in gara, pronti per la Via della Seta e la Cina. Meno felici noi del team Italia: tutto il giorno l’abbiamo speso in un’officina turca del quartiere delle officine, prigionieri dei rituali ottomani che presiedono al rito della riparazione. Riparata la cuffia del semiasse, riparato un buchino nel radiatore, sistemata una perdita al decantatore della benzina che impuzzoniva tutto. Ho speso 51 milioni di lire turche (tranquilla Silvana, figlia mia: sono meno di cento dollari), ho saltato premiazione e soirée, ma non credo di aver perso molto. In mattinata, spaventoso incidente a uno dei concorrenti che ha sfondato con la testa una vetrata della terrazza. Meglio tornare in macchina, da domattina: è meno rischioso.